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Tre sviluppi energetici che stanno cambiando la vostra vita di Michael T.Klare

Ultimo Aggiornamento: 18/06/2011 22:28
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18/06/2011 22:28

di Michael T.Klare


Eccovi le buone notizie riguardo all’energia: grazie ai prezzi crescenti del petrolio e al deterioramento delle condizioni dell’economia mondiale, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) riferisce che la domanda globale di petrolio non crescerà quest’anno tanto quanto era stato a suo tempo previsto, il che può dare un può dare un temporaneo sollievo al prezzi della benzina alla pompa. Nel suo Rapporto di maggio sul Mercato del Petrolio ha ridotto di 190.000 barili al giorno le sue stime del consumo globale di petrolio, fissandolo a 89,2 milioni di barili al giorno. Conseguentemente i prezzi al dettaglio possono non raggiungere i livelli stratosferici previsti in precedenza quest’anno, anche se resteranno indubbiamente più alti che mai dai mesi del picco del 2008, appena prima del crollo economico globale. Tenete presente che queste sono le notizie buone.

Quanto alle cattive notizie: il mondo affronta una serie di problemi energetici ingestibili che, a dir poco, sono solo peggiorati nelle settimane recenti.  Questi problemi si stanno moltiplicando su entrambi i lati della divisione geologica energetica chiave: sotto terra, le riserve un tempo abbondanti di petrolio, gas naturale e carbone “convenzionali” facili da estrarre si stanno prosciugando; in superficie i calcoli umani sbagliati e la geopolitica limitano la produzione e la disponibilità di forniture energetiche specifiche.  Con problemi che crescono in entrambi i contesti, le nostre prospettive energetiche stanno solo facendosi più fosche.

Ecco un semplice fatto senza il quale la nostra crescente crisi energetica non ha senso: l’economia mondiale è strutturata in modo tale che restare fermi nella produzione di energia non è un’opzione.  Al fine di soddisfare le sconcertanti necessità delle potenze industriali più vecchie, come gli Stati Uniti, insieme con la vorace sete di potenze crescenti come la Cina, l’energia globale deve crescere ogni anno in misura sostanziale.  Secondo le proiezioni del Dipartimento dell’Energia (DoE) USA, la produzione mondiale di energia, sulla base dei livelli del 2007, deve crescere del 29% a 640 quadrilioni di unità termiche inglesi entro il 2025 al fine di soddisfare la domanda prevista.  Anche se l’utilizzo crescerà un po’ più lentamente del previsto, ogni carenza nel soddisfare le necessità mondiali produce una percezione di scarsità, il che significa anche prezzi crescenti dei combustibili.  Sono esattamente queste le condizioni che osserviamo oggi e che dovremmo attenderci per un futuro indefinito.

E’ su questo sfondo che i tre sviluppi cruciali del 2011 stanno cambiando il modo in cui probabilmente vivremo su questo pianeta nel prevedibile futuro.

I ribelli del petrolio difficile

Il primo e tuttora più importante dei traumi energetici dell’anno è stata la serie di eventi scatenata dalle rivolte tunisina ed egiziana e la conseguente “Primavera Araba” nel Medio Oriente esteso.  Né la Tunisia né l’Egitto, di fatto, erano principali produttori di petrolio, ma le ondate di shock politico scatenate da queste insurrezioni si sono allargate ad altri paesi della regione che sono, compresa la Libia, l’Oman e l’Arabia Saudita.  A questo punto, le dirigenze di Oman e Arabia Saudita sembrano mantenere un rigido controllo delle proteste, ma la produzione libica, di norma attestantesi su una media di circa 1,7 milioni di barili al giorno, è scesa in prossimità dello zero.

Quando si tratta della disponibilità futura di petrolio, è impossibile sovrastimare l’importanza degli eventi di questa primavera in Medio Oriente, che continuano a echeggiare intensamente sui mercati energetici.  Secondo tutte le proiezioni della produzione globale di petrolio, l’Arabia Saudita e gli altri stati del Golfo Persico sono incitati a fornire una quota sempre crescente della fornitura mondiale di petrolio mentre declina la produzione in regioni chiave altrove.  Conseguire questo incremento di produzione è essenziale ma la cosa non si realizzerà a meno che i governanti di quei paesi investano somme colossali nello sviluppo di nuove riserve di petrolio, specialmente la varietà dura, del petrolio “difficile” che richiede infrastrutture di gran lunga più costose degli esistenti depositi di “petrolio facile”.

In un articolo di prima pagina intitolato “Di fronte alla fine del ‘petrolio facile’” il Wall Street Journal ha osservato che qualsiasi speranza di soddisfare le future richieste mondiali di petrolio si basa sulla disponibilità saudita a investire centinaia di miliardi di dollari nei suoi giacimenti restanti di petrolio pesante.  Ma proprio ora, a fronte di una popolazione che esplode e alla prospettiva di una rivolta giovanile in stile egiziano, la dirigenza saudita sembra dedita a utilizzare la sua stupefacente ricchezza in programmi di lavori pubblici che generino occupazione e in vasti assortimenti di armamenti, non in nuove strutture per il petrolio difficile; lo stesso vale in larga misura per gli altri stati petroliferi monarchici del Golfo Persico.

Non sappiamo se tali sforzi si riveleranno efficaci.  Se una popolazione sauditagiovane di fronte alle promesse di lavoro e denaro, e alla feroce repressione della dissidenza, è sembrata meno combattiva delle sue controparti tunisine, egiziane e siriane, ciò non significa che lo status quo si manterrà per sempre. “L’Arabia Saudita è una bomba a orologeria” ha commentato Jaafar Al Taie, direttore amministrativo della Manaar Energy Consulting (che offre consulenza alle società petrolifere che operano nella regione). “Non penso che quel che il re sta facendo ora sia sufficiente per prevenire una rivolta” ha aggiunto, anche se i reali sauditi hanno appena annunciato un piano da 36 miliardi di dollari per aumentare le paghe minime, aumentare i sussidi di disoccupazione e costruire alloggi a prezzi accessibili.

Attualmente il mondo è in grado di sopportare un perdita prolungata di petrolio libico. L’Arabia Saudita e pochi altri produttori posseggono una sufficiente capacità in supero per coprire la differenza. Se mai, tuttavia, l’Arabia Saudita esplodesse, tutto può succedere.  “Se accade qualcosa all’Arabia Saudita (il petrolio) arriverà a 200 o a 300 dollari (al barile)” ha detto il 5 aprile SheikhZakiYamani, l’ex ministro del petrolio del regno. “Non me lo aspetto attualmente, ma chi si sarebbe aspettato la Tunisia?”.

L’energia nucleare e la tendenza in discesa

In termini di mercati energetici il secondo maggior sviluppo del 2011 si è verificato l’11 marzo quando uno terremoto e uno tsunami di potenza inattesa hanno colpito il Giappone.  All’inizio il doppio attacco della natura ha danneggiato o distrutto una significativa parte delle infrastrutture energetiche del Giappone settentrionale, comprese raffinerie, strutture portuali, condutture, impianti energetici e linee di trasmissione.  Inoltre, naturalmente, ha devastato quattro impianti nucleari a Fukushima con la conseguenza, secondo il Dipartimento dell’Energia USA, della perdita permanente di 6.800 megawatt di capacità di generazione di energia elettrica.

Ciò, a sua volta, ha costretto il Giappone ad aumentare le sue importazioni di petrolio, carbone e gas naturale, aumentando la pressione sulle forniture globali.  Con Fukushima e altri impianti nucleari fuori servizio, gli analisti industriali calcolano che le importazioni giapponesi di petrolio possano salire sino a 248.000 barili al giorno, e le importazioni di gas naturale a circa 34 milioni di metri cubi [1,2 miliardi di piedi cubi]  (per lo più sotto forma di gas naturale liquefatto, o GNL).

Questo è uno dei più importanti effetti dello tsunami a breve termine. E per quanto riguarda gli effetti a più lungo termine? Il governo giapponese afferma ora che sta abbozzando piani per costruire sino a 14 nuovi reattori nucleari nei prossimi due decenni.  Il 10 maggio il Primo Ministro, NaotoKan, ha annunciato che il governo dovrà “ripartire da zero” nell’escogitare una nuova politica energetica per il paese. Anche se parla di sostituire i reattori cancellati con sistemi di energia rinnovabile come quelli eolici e solari, la triste realtà è che una parte significativa di qualsiasi futura espansione energetica proverrà inevitabilmente da altro petrolio, carbone o GNL importato.

Il disastro di Fukushima – e le conseguenti rivelazioni di errori di progetto e carenze di manutenzione dell’impianto – hanno avuto un effetto domino, causando i dirigenti energetici di altri paesi a cancellare piani per la costruzione di nuovi impianti nucleari o di proroga della vita di quelli esistenti. La prima a farlo è stata la Germania: il 14 marzo il Cancelliere Angela Merkel ha chiuso due vecchi impianti e ha sospeso i piani per prorogare la vita di 15 altri.  Il 30 maggio il suo governo ha reso permanente la sospensione.  Sulla scia delle manifestazioni antinucleari di massa e di una sconfitta elettorale, ha promesso di chiudere tutti gli impianti nucleari esistenti entro il 2022, cosa che, ritengono gli esperti, avrà come conseguenza un aumento dell’utilizzo di combustibili fossili.

Anche la Cina ha reagito rapidamente, annunciando il 16 marzo che avrebbe interrotto la concessione di permessi per la costruzione di nuovi reattori in attesa di una revisione delle procedure di sicurezza, anche se non ha cancellato del tutto tali investimenti.  Altri paesi, compresi India e Stati Uniti, hanno analogamente intrapreso revisioni delle procedure di sicurezza dei reattori, mettendo a rischio ambiziosi programmi nucleari.  Poi, il 25 maggio, il governo svizzero ha annunciato che avrebbe abbandonato i piani per la costruzione di tre nuovi impianti energetici nucleari, eliminato gradualmente l’energia nucleare e chiuso i suoi ultimi impianti entro il 2034, aggiungendosi alla lista dei paesi che sembrano aver abbandonato per davvero l’energia nucleare.

Come la siccità strozza l’energia

Il terzo più importante sviluppo energetico del 2011, meno ovviamente collegato all’energia rispetto agli altri due, è stato una serie di persistenti e frequentemente registrate siccità che ha attanagliato molte aree del pianeta. Tipicamente l’effetto più immediato e drammatico di una siccità prolungata è una riduzione della produzione di cereali, che porta a prezzi del cibo sempre più elevati e a sempre maggiori disordini sociali.

L’anno scorso siccità intense in Australia, Cina, Russia e parti del Medio Oriente, Sud America, Stati Uniti e, più recentemente, Nord Europa hanno contribuito agli attuali prezzi record degli alimenti e ciò, a sua volta, è stato un fattore chiave delle rivolte politiche che ora spazzano il Nord Africa, l’Africa Orientale e il Medio Oriente. Ma la siccità ha anche un effetto sull’energia. Può ridurre il flusso dei maggiori sistemi fluviali, portando a un declino della produzione degli impianti di energia idroelettrica, come sta ora accadendo il numerose regioni colpite dalla siccità.

La minaccia di gran lunga più grave alla generazione di elettricità esiste in Cina, che sta soffrendo di una delle peggiori siccità di ogni tempo. Il livello delle precipitazioni da gennaio ad aprile nel bacino di drenaggio dello Yangtze, il fiume cinese più lungo e più economicamente importante, è stato del 40% inferiore alla media degli ultimi 50 anni, secondo China Daily. Ciò ha comportato un significativo declino dell’energia idroelettrica e scarsità di elettricità in molta dell’intera Cina centrale.

I cinesi bruciano più carbone per produrre elettricità, ma le miniere nazionali non soddisfano più le necessità del paese e così la Cina è diventata uno dei principali importatori di carbone. La domanda crescente, insieme con la disponibilità inadeguata, hanno portato a un picco dei prezzi del carbone, e  senza un aumento comparabile delle tariffe elettriche (fissate dal governo) molte aziende produttrici cinesi stanno razionando l’energia piuttosto che acquistare altro carbone costoso e operare in perdita.  In risposta, le industrie stanno aumentando la loro dipendenza da generatori diesel d’emergenza, il che a sua volta accresce la domanda cinese di petrolio importato, esercitando una pressione ancora ulteriori sui prezzi globali dei combustibili.

Far naufragare il pianeta

Siamo dunque ora a giugno, con continui disordini in Medio Oriente, prospettive fosche per l’energia nucleare, una grave scarsità di energia elettrica in Cina (e probabilmente altrove). Cos’altro vediamo all’orizzonte energetico globale?

Nonostante le previsioni della IEA di un diminuito consumo futuro del petrolio, la domanda globale di energia continua a superare gli incrementi dell’offerta. Da tutte le indicazioni, questo squilibrio persisterà. Si prenda il petrolio. Un numero crescente di analisti dell’energia ora concorda che l’era del “petrolio facile” è finita e che il mondo deve sempre più affidarsi al “petrolio pesante”, difficile da ottenere.  Si presume diffusamente, inoltre, che il pianeta ospiti un mucchio di questa roba … nelle viscere della terra, in mare al largo, in formazioni geologiche problematiche come le sabbie bituminose canadesi e nell’Artico che sta fondendo. Tuttavia estrarre e lavorare questo petrolio si dimostrerà sempre più costoso e comporterà grandi rischi umani e rischi ambientali anche maggiori.  Si ricorsi il disastro della piattaforma DeepwaterOrizon della BritishPetroleum nel Golfo del Messico nel 2010.

La sete mondiale di petrolio è tale che una quantità crescente di questa roba sarà comunque estratta, anche se non certamente ma in tutta probabilità, a un ritmo e su una scala necessari per sostituire la scomparsa del petrolio facile di ieri e di oggi. Assieme alla continua instabilità del Medio Oriente, questo paesaggio del petrolio difficile sembra implicare aspettative che il prezzo del petrolio aumenterà solo negli anni a venire. In un sondaggio tra i dirigenti delle società energetiche globali condotto lo scorso aprile da KPMG Global Energy Institute, il 64% degli interpellati ha previsto che i prezzi del greggio supereranno la soglia di 120 dollari al barile prima della fine del 2011.  Circa un terzo di essi ha previsto che il prezzo salirà ancora più in alto con il 17% che ritiene che raggiungerà i 131-140 dollari al barile, il 9%  i 141-150 dollari al barile e il 6% sopra i 150 dollari.

Anche il prezzo del carbone è volato nei mesi recenti, grazie alla domanda globale montante in un momento in cui si sono contratte le forniture di energia provenienti dal nucleare e dalle fonti idroelettriche. Molti paesi hanno lanciato sforzi significativi per stimolare lo sviluppo di energie rinnovabili, ma essi non procedono sufficientemente veloci o su una scala abbastanza vasta da sostituire rapidamente le vecchie tecnologie.  L’unico raggio di sole, dicono gli esperti, è la crescente estrazione di gas naturale dagli scisti degli Stati Uniti attraverso l’uso della fratturazione idraulica (“idro-fracking”).

Coloro che propongono il gas da scisti affermano che esso può fornire una grande quota delle necessità energetiche statunitensi negli anni a venire, riducendo effettivamente, nel contempo, i danni all’ambiente, in confronto al carbone e al petrolio (il gas emette meno diossido di carbonio per unità di energia rilasciata); tuttavia, un crescente coro di oppositori ammonisce contro la minaccia alle forniture pubbliche di acqua rappresentato dall’utilizzo di sostanze chimiche tossiche nel processo di ‘fracking’. Questi ammonimenti si sono rivelati convincenti a sufficienza per indurre i legislatori di un numero crescente di stati a cominciare a porre limiti alla pratica, mettendo in dubbio il contributo futuro del gas da scisti all’offerta nazionale di energia.  Anche l’Assemblea Nazionalefrancese, la potente camera bassa del Parlamento,  il 12 maggio, ha votato con 287 a favore e 146 contro la messa al bando dell’idrofracking in Francia, la prima nazione a farlo.

E’ difficile definire unici i problemi ambientali del gas da scisti.  Il fatto è che tutte le strategie attualmente prese in considerazione per estendere la vita del petrolio, del carbone e del gas naturale, comportano gravi costi e rischi economici e ambientali, alla stregua, ovviamente, dello stesso utilizzo dei combustibili fossili di qualsiasi tipo in un momento in cui i numeri della IEA per il 2010 indicano che è stato un anno inaspettatamente record per l’umanità per quanto riguarda l’immissione di gas serra nell’atmosfera.

Con i giganteschi campi petroliferi del Texas, del Venezuela e del Medio Oriente esauriti o prossimi ad esserlo, il futuro del petrolio resta affidato a materiale di terza classe, come le sabbie bituminose, il petrolio da scisti, e il greggio super-pesante che necessitano di un mucchio di energia per essere estratti, processi che emettono gas serra aggiuntivi e, come nel caso delle sabbie bituminose, tendono a mettere a soqquadro l’ambiente.

Il gas da scisti è tipico. Anche se ve n’è abbondanza, esso può essere liberato dalle formazioni scistiche sotterranee solo utilizzando esplosivi e acqua ad alta pressione mista a prodotti chimici tossici. Inoltre, per ottenere le quantità necessarie di petrolio scistico, devono essere scavati migliaia di pozzi nel paesaggio statunitense, ciascuno dei quali potrebbe dimostrarsi un disastro ambientale.

Analogamente, il futuro del carbone dipenderà da tecniche sempre più invasive e pericolose, come la rimozione delle cime delle montagne mediante esplosivi e la dispersione delle rocce in eccesso e dei residui tossici nelle valli sottostanti. Ogni aumento dell’uso del carbone potenzierà anche il cambiamento climatico, poiché il carbone emette più diossido di carbonio del petrolio e del gas naturale.

Ed ecco la somma totale: qualsiasi aspettativa che forniture sempre crescenti di energia soddisferanno la domanda degli anni a venire è destinata a essere delusa. E’ invece probabile che il tamburo tematico del futuro energetico del pianeta saranno le ricorrenti scarsità, i prezzi crescenti e il montare dello scontento.

Se non abbandoniamo la convinzione che una crescita illimitata sia un nostro inalienabile diritto di nascita e non abbracciamo la promessa sincera dell’energia rinnovabile (con gli sforzi e gli investimenti necessari per dare significato a tale impegno) è probabile che il futuro si dimostrerà davvero sinistro. Allora la storia dell’energia, come verrà insegnata in qualche università della fine del ventunesimo secolo, sarà intitolata: Come far naufragare il Pianeta. Corso base.

Michael T.Klare è docente di studi sulla pace e la sicurezza mondiale all’Hampshire College, contribuisce regolamente a TomDispatch ed è autore, più di recente, di ‘RisingPowers, Shrinking Planet’ [Poteri che crescono, pianeta che avvizzisce. Una versione cinematografica documentaria del suo precedente libro ‘Blood and Oil” [Petrolio e sangue] è disponibile presso la Media Education Foundation. Per ascoltare la più recente intervista di Timothy McBain in cui Klare discute degli Stati Uniti, dell’Arabia Saudita e dei conflitti per le risorse, cliccare qui o scaricare su iPod qui

Questo articolo è comparso originariamente su TomDispatch.com, un blog del NationInstitute che offre un flusso costante di fonti, notizie e opinioni alternative da Tom Englehardt,  redattore editoriale di lungo corso, co-fondatore dell’American Empire Project, autore di ‘The End of Victory Culture’ [La fine della cultura della vittoria] e di un romanzo “The Last Days of Publishing” [Gli ultimi giorni di pubblicazione]. Il suo libro più recente è ‘The American Way of War: How Bush’sWarsBecameObama’s’ (Haymarket Books) [La via americana alla guerra: come le guerre di Bush sono diventate di Obama].

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