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non tutti sanno che......

Ultimo Aggiornamento: 24/02/2011 13:15
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24/02/2011 09:37

“L’Italia è il principale partner militare del regime di Gheddafi e le armi italiane potrebbero fare strage in Libia”. Per questo la Rete Italiana per il Disarmo e la Tavola della Pace con un comunicato stamattina hanno chiesto al ministro Frattini il blocco immediato della vendita di armi e ogni altra forma di collaborazione militare con Gheddafi. Mentre le agenzie di stampa parlano di un massacro in Libia con 10mila morti e 50mila feriti, le due organizzazioni della società civile italiana denunciano che “le armi fornite dall'Italia al colonnello Gheddafi in questi ultimi anni (in particolare elicotteri e aeromobili, bombe, razzi e missili) sono forse state in prima linea nella sanguinosa repressione di questi giorni della popolazione civile libica, che sta protestando pacificamente contro il regime”.

Riportando i dati forniti da Unimondo, la Rete Italiana per il Disarmo (coordinamento che raccoglie oltre 30 organismi italiani impegnati sul tema del controllo degli armamenti) e la Tavola della Pace ricordano al Governo e al Parlamento italiano che l’Italia è il principale fornitore di armi alla Libia: al regime di Tripoli sono state autorizzate dal Governo esportazioni militari per oltre 93 milioni di euro nel 2008 e ben 112 milioni nel 2009. Un vero e proprio boom degli ultimi due anni favorito dalla firma del “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia” avvenuta nel 2008.

"I funzionari di Governo italiani che abbiamo incontrato negli ultimi anni ci hanno sempre assicurato che le tipologie dei sistemi d’arma venduti in giro per il mondo non potevano essere usati per violare i diritti umani - dice Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Disarmo. Ma le notizie degli ultimi giorni ci dimostrano come le repressioni di piazza si possono condurre anche con raid aerei contro i manifestanti. Una notizia che, se poi si confermasse l'uso di armamenti made in Italy, darebbe ancora più valore a quanto diciamo da tempo: una buona parte dell'export militare italiano è contrario alla nostra legge (la 185 del 1990) perché non tiene conto come prescritto delle possibili violazioni di diritti umani e dei grandi squilibri sociali che tali acquisti, con il loro impatto milionario, inducono nei paesi compratori delle nostre armi”.

"Non riesco a sopportare l’idea che armi italiane stiano facendo strage di civili in Libia” - ha dichiarato Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace. “Così come non posso sopportare l’idea che l’Italia continui a sostenere anche in queste ore il regime di Gheddafi. C’è da vergognarsi. Ci vuole un sussulto di dignità. Basta con il silenzio e le complicità dell’Italia. Questo è il momento di rompere con il passato. Noi chiediamo al Parlamento di compiere un gesto chiaro e immediato: imporre il blocco della vendita delle armi e la sospensione di ogni forma di cooperazione militare con la Libia e con i paesi che non rispettano il diritto di manifestare liberamente e pacificamente”.

Le richieste dei due organismi italiani si uniscono ad altre autorevoli voci che hanno già interpellato in merito il nostro Governo, come quella del Segretario Generale di Amnesty International Salil Shetty che ieri ha scritto al Presidente del Consiglio Berlusconi e ai ministri Frattini e Maroni chiedendo “la sospensione della fornitura di armi, munizioni e veicoli blindati alla Libia fino a quando non sarà cessato completamente il rischio di violazioni dei diritti umani”.

Una richiesta perorata anche dall’associazione Pax Christi che ha esortato il Governo italiano anche a “rivedere il trattato di amicizia, partenariato e cooperazione firmato a Bengasi ad agosto 2008 da Berlusconi e da Gheddafi, che ha dato un ulteriore slancio alle esportazioni di armamenti italiani verso la Libia”. Pax Christi stigmatizza inoltre “l'imbarazzata complicità” del Governo italiano. Come sottolinea la nota di Rete Disarmo e della Tavola della pace “gli interessi italiani e in particolare di Finmeccanica (il cui secondo azionista è proprio la Lybian Investment Authority) hanno sicuramente frenato in questi giorni l'azione diplomatica dell'esecutivo italiano ed in particolare del Ministro degli Esteri, Franco Frattini”.

“Le possibili violazioni delle prescrizioni di legge (se si guarda alla sostanza delle questioni, non alla forma sicuramente rispettata) configurano un grosso problema etico e morale per il Governo Italiano che non a caso è l'unico a non essersi espresso per una sospensione delle forniture militari come invece fatto nei giorni scorsi da Francia, Germania e Regno Unito nei confronti di diversi paesi della turbolenta area mediterranea tra cui la Libia – afferma in un'intervista Giorgio Beretta, di Unimondo ed esperto di commercio di armi della Rete Italiana per il Disarmo. Che il ministro degli Esteri italiano sia all’oscuro delle dichiarazioni dei suoi colleghi? O forse non sa che sia la legge italiana che la Posizione Comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armamenti chiedono di accertare il rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e di rifiutare le esportazioni di armamenti qualora esista un rischio evidente che le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna?”.

“In realtà – continua la nota di Rete Disarmo e della Tavola della pace - non tutto il Governo italiano è inattivo in questi giorni: mentre la repressione del regime libico si abbatte sulla popolazione, con probabile uso di armamenti italiani, il nostro Ministro della Difesa Ignazio La Russa si trova ad Abu Dhabi per partecipare alla locale fiera di armamenti (IDEX 2011), nella quale i nostri esponenti di governo puntano a far confermare la nostra industria militare tra quelle leader a livello mondiale. “Come si fa – domandano le due organizzazioni - a spacciare la vendita dei sistemi d'arma come un simbolo di ‘vitalità del nostro Paese che riesce a portare con successo, ovunque nel mondo, i frutti della propria inventiva e laboriosità’ come ha detto ad Abu Dhabi il sottosegretario alla Difesa Crosetto?”. Il ministro La Russa, mentre erano in corso le sanguinose repressioni in Libia, ha dichiarato di essere all'esposizone militare di ad Abu Dhabi "per sostenere doverosamente l'industria italiana e anche per ricevere come contrappeso della sua affermazione una crescita di prestigio che poi si riflette su tutto il sistema Italia".

Tavola della Pace e Rete Italiana per il Disarmo hanno già chiesto nei giorni scorsi la cessazione di ogni sostegno politico-militare verso Algeria, Egitto e Tunisia e a maggior ragione vista la situazione attuale in Libia richiedono “con forza al Governo e al Parlamento italiano, oltre al congelamento di ogni collaborazione sul piano commerciale-militare con il regime di Gheddafi un deciso orientamento a favore di una restrizione e maggior controllo dell’export bellico italiano per evitare l'uso di tali armi per la repressione del dissenso in qualsiasi teatro di conflitto mondiale”. [GB]

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24/02/2011 13:15

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Comunicato stampa di Pax Christi del 22 febbraio 2011

23.02.2011:


Il 2 settembre scorso abbiamo espresso il nostro disgusto
per lo “spettacolo indecoroso” in onore di Gheddafi preparato dal capo del governo che ha ostentatamente baciato la mano al dittatore trascurando completamente ogni accenno alla violazione dei diritti umani, alla tragica sorte delle vittime dei respingimenti, a chi muore nel deserto o nelle prigioni libiche. Ora la repressione delle rivolte è spietata. Gruppi armati sparano sulla folla che viene anche bombardata.

Pax Christi vuole ricordare che l’Italia è il primo esportatore europeo di armamenti al regime di Gheddafi. Nel biennio 2008-2009 il governo italiano ha autorizzato alle proprie ditte l’invio di armamenti per oltre 205 milioni di euro, più di un terzo di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’UE. A differenza dei colleghi europei, il ministro degli Esteri si è guardato bene dal dichiarare anche solo la sospensione temporanea dei rifornimenti di armi a Gheddafi.

L’Italia, complice di tanti affari e orrori, imbarazzata, balbetta. Eppure non sono mancate le sollecitazioni. Dopo i primi tumulti nei paesi del nord Africa, con la Rete Disarmo e la Tavola della pace avevamo chiesto al Governo di sospendere ogni forma di cooperazione militare con tutti i paesi dell’area. È urgente rivedere il “Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia” firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 da Berlusconi e Gheddafi – con cui le esportazioni di armamenti italiani verso le coste libiche hanno preso slancio.

Vogliamo ricordare che la legge 185 del 1990 sulle esportazioni di armamenti chiede di accertare il “rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale" e di rifiutare le esportazione di armamenti “qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna”. Disarmo, giustizia e democrazia sono la premessa perché il nord Africa e il Mediterraneo diventino, secondo il sogno di La Pira, un “grande nuovo lago di Tiberiade”. Non il bagno di sangue che siamo costretti a guardare di fronte a casa. Fonti e ulteriore documentazione in: Rete Disarmo, Tavola per la Pace, Unimondo.

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24 febbraio 2011
 
Diecimila morti. Almeno 50mila feriti e un numero impressionante di fosse comuni. Un’ecatombe. È questa l’immagine che arriva dalla Libia, nel silenzio dell’Italia, Paese amico che si preoccupa solo di quanti cercheranno di abbandonare quei lidi che si credevano blindati grazie a un accordo infimo, siglato con un folle dittatore che semina morte. Non da oggi.
 
Ora, davanti alla follia dell’imperatore, si parla di genocidio, ma lo sterminio della disperazione è iniziato tempo fa, sotto il silenziatore della maggior parte della stampa, capace di risvegliarsi a comando, solo quando si sentiva politicamente l’esigenza di far scoppiare il caso. A destra o a sinistra, indifferentemente.
 
I veri numeri di questa strage costante, giornaliera  non li sapremo mai. Giacciono sui fondali del mare mostrum. Invisibili, e per questo meno impressionanti di quelli di oggi. La situazione di calma apparente si è rotta, sollecitata dal vento di rivoluzione che soffia sul Nord Africa e che mostra i volti di nuove generazioni stanche di vecchi gioghi.
 
Navi Pillay, Alta commissaria per i Diritti umani dell’Onu, ha chiesto un’inchiesta per i crimini contro l’umanità. Perché è di genocidio che stiamo parlando. Ed è su questo che l’Italia è chiamata a prendere una posizione chiara. Non ci interessa sentir parlare di accordi economici, di barili, di trattati di amicizia. Vogliamo sentir dire che non presteremo il fianco ancora una volta al Colonnello dittatore, che non troverà ospitalità nel nostro Paese, che l’Italia sospenderà la fornitura di armi alla Libia e invierà aiuti sanitari e alimentari alle donne, uomini e bambini vittime del delirio del tiranno. Crediamo che qui, in Italia, sia finito il tempo del baciamano.
 
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