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Pensieri di ieri per comprendere l'oggi

Ultimo Aggiornamento: 21/02/2011 23:19
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21/02/2011 23:19

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E' non soltanto permesso, ma anche equo e giusto uccidere i tiranni, poiché chi si appropria della spada merita di perire di spada.
Ma "s'appropria" va inteso come pertinente a chi ha sconsideratamente usurpato ciò che non è suo, non a chi riceve ciò che usa dal potere di Dio. Chi riceve il potere da Dio serve le leggi ed è schiavo della giustizia e del diritto. Chi usurpa il potere sopprime la giustizia e pone le leggi sotto la propria volontà. Dunque, la giustizia si armerà legittimamente contro chi disarma la legge, e il potere pubblico tratterà con durezza quanti cercano di aggirarlo. E, benché vi siano molte forme di alto tradimento, nessuna di esse è altrettanto grave di quella esercitata contro lo stesso corpo della giustizia. Pertanto, se questo accade, la tirannia non è solamente crimine pubblico: è più che pubblico. Poiché se è vero che tutti possono agire nel caso di alto tradimento, lo è tanto più quando vengono oppresse leggi cui dovrebbero stare sottomessi gli stessi imperatori. Di sicuro, nessuno vendicherà un nemico del pubblico, e chiunque non agisca contro di lui tradisce se stesso e tutto il corpo di leggi della repubblica terrena [...] In quanto immagine della deità, il principe va amato, venerato e rispettato. Il tiranno, in quanto immagine di malvagità, il più delle volte va addirittura ucciso.


Giovanni di Salisbury
, Policraticus, 1159






Inoltre, consideriamo che un tiranno che si pone al di sopra d'ogni legge e difende la propria ingiustizia con una forza cui nessun magistrato è in grado di opporsi, si pone al di sopra di ogni punizione e al di sopra di ogni giustizia che non sia quella somministrata da qualche mano generosa. E certo l'umanità intera sarebbe ben poco al sicuro, se non vi fosse giustizia capace di raggiungere le grandi cattiverie, e se i tiranni fossero immunitate scelerum tuti, protetti dalla grandezza dei loro crimini. Le nostre leggi, allora, non sarebbero che ragnatele: buone per prendere le mosche, ma inutili a trattenere vespe e calabroni; e si potrebbe allora dire di ogni consorzio civile quel che si diceva di Atene: che vi s'impiccassero solo i ladruncoli, mentre i ladroni erano a piede libero e condannavano gli altri. Ma chi vuole mettersi al riparo da ogni mano, sappia che non può mettersi al riparo da tutte. Chi sfugge alla giustizia nei tribunali deve attendersi di trovarla nelle strade, e chi va armato contro tutti gli uomini arma tutti gli uomini contro di sé. Bellum est in eos qui judiciis coerceri non possunt (dice Cicerone), ovvero: facciamo guerra a coloro contro cui nulla può la legge.


Edward Sexby
, Killing Noe Murder: Briefly Discourst in Three Saentences 1657







Quando una nazione è stata costretta a ricorrere al diritto di insurrezione, rientra nello stato di natura riguardo al tiranno. Come potrebbe questi invocare il contratto sociale? Egli stesso l'ha annientato. La nazione se giudica opportuno può ancora conservarlo per quanto concerne i rapporti dei cittadini tra di loro; ma l'effetto della tirannia e dell'insurrezione è di romperlo interamente in rapporto al tiranno, di stabilire un reciproco stato di guerra; i tribunali e le procedure sono fatti per i membri della comunità. E' una contraddizione grossolana supporre che la Costituzione possa presiedere a questo nuovo stato di cose; sarebbe come presupporre che essa possa sopravvivere a se stessa. Quali sono le leggi che la sostituiscono allora? Quelle della natura, quella che è alla base della stessa società: la salvezza del popolo. Il diritto di punire il tiranno e quello di deporlo dal trono sono la stessa cosa. L'uno non comporta altre forme dell'altro; il processo al tiranno è l'insurrezione; il suo giudizio è la caduta della sua potenza; la sua pena quella che richiede la libertà del popolo.
I popoli non giudicano come le corti di giustizia; non emettono sentenze: lanciano la loro folgore; non condannano i re: li ricacciano nel nulla.



Maximilien Robespierre
, "Sulle decisioni da assumersi nei confronti di Luigi Capeto", 3 dicembre 1792

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