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La democrazia europea e il colpo di stato della finanza

Ultimo Aggiornamento: 01/01/2012 17:17
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01/01/2012 17:17

di Ignacio Ramonet – 29 dicembre 2011 - Parigi, dicembre ( Inter Press Service)




E’ chiaro che l’Unione Europea non è in grado di chiamare a raccolta la volontà politica di opporsi ai mercati per risolvere la crisi.



Sinora il deplorevole comportamento dei capi europei è stato biasimato per la sconcertante incompetenza di questi ultimi. Tuttavia tale (corretta) valutazione non si spinge abbastanza in là, in particolare dopo il recente “colpo di stato finanziario” che in Grecia e in Italia ha attaccato a colpi di dinamite una certa concezione della democrazia. Quella che è andata sviluppandosi e meno una questione di mediocrità e di incompetenza e più una questione di complicità attiva con i mercati.

Cosa intendiamo per “mercati”? Un raggruppamento di banche d’investimento, compagnie di assicurazione, fondi pensione e fondi speculativi che essenzialmente acquistano e vendono quattro tipi di attività: valute, azioni, titoli sovrani e derivati.

Per farsi un’idea del loro potere colossale è sufficiente citare due cifre: ogni anno l’economia reale (la produzione di beni e servizi) genera, a livello mondiale, una cifra stimata in 45 trilioni di euro: il prodotto interno lordo mondiale. Contemporaneamente nella sfera finanziaria in “mercati” muovono 3.450 trilioni di dollari di capitale: ventisei volte la produzione totale dell’economia reale.

Il risultato è che nessuna economia nazionale, per quanto potente (l’Italia, va ricordato, è l’ottava economia più grande del mondo), può resistere a un assalto dei mercati una volta che essi abbiano deciso di lanciare un attacco coordinato, come sono andati facendo per più di un anno contro i paesi cui si riferiscono ingiuriosamente come ai PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) [PIGS = maiali; l’acronimo attuale dovrebbe, comunque, essere PIIGS, in quanto permane tra tali paesi, in ordine di tempo prima dell’Italia, l’Irlanda – n.d.t.].

Quel che è peggio è che, contrariamente a quel che ci si potrebbe attendere, questi “mercati” non sono forze esotiche piombate giù da altezze remote per assalire le nostre economie locali. La maggior parte di essi, invece, è costituita dalle stesse nostre banche europee (le stesse che i paesi della UE si sono trovati d’accordo nel salvare con i nostri soldi nel 2008). Per dirlo in altro modo, il problema non è un massiccio attacco all’Eurozona da parte della finanza statunitense, cinese, giapponese o araba.

Quella che è in corso è essenzialmente una guerra intestina condotta da banche, compagnie di assicurazioni, fondi speculativi, fondi pensionistici e establishment finanziari europei. Sono queste le entità che gestiscono i fondi europei e detengono il grosso del debito sovrano europeo [1]. E sono quelle stesse entità che, al fine di difendere – in teoria – gli interessi dei propri clienti, stanno speculando e spingendo al rialzo i tassi di interesse che i governi pagano per finanziarsi al punto che alcuni – Irlanda, Portogallo e Grecia – sono stati condotti sull’orlo della bancarotta. In conseguenza di questo comportamento, i cittadini di questi paesi sono stati costretti a sopportare misure d’austerità e correzioni brutali imposte dai governi europei per placare gli avvoltoi dei “mercati”, ovvero le loro stesse banche.

Queste ultime, inoltre, sono state in grado di ottenere agevolmente fondi dalla Banca Centrale Europea a un tasso d’interesse dell’1%, fondi che hanno poi prestato a paesi come la Spagna e l’Italia al 6,5%. C’è poi il vasto e scandaloso potere delle agenzie di valutazione (Fitch, Moody’s e Standard & Poor’s) le cui classificazione del merito di credito di un paese determinano il tasso al quale esso può finanziarsi sul mercato [2]. Più bassa la classificazione, più alto il costo.

Non solo queste agenzie spesso si sbagliano, in modo più impressionante nel caso della valutazione del fiasco dei mutui subprime che ha portato alla crisi attuale, ma svolgono anche un ruolo perverso e ributtante in situazioni come quella attuale. E’ chiaro che ogni piano d’austerità e programma di tagli e aggiustamenti nell’Eurozona porterà a una caduta della crescita, in conseguenza della quale le agenzie declasseranno la valutazione dei paesi portando i costi del servizio del debito sempre più in altro, il che costringe ad ancora più gravosi tagli di bilancio, che riducono ulteriormente l’attività economica e causano un altro declassamento della valutazione, e via di seguito.

E’ facile comprendere, in questo circolo vizioso di quella che è essenzialmente una guerra economica, perché la situazione della Grecia si è fatta sempre più disperata precisamente nel momento in cui il suo governo ha imposto tagli sempre maggiori al bilancio e misure estreme di austerità. I sacrifici fatti dai suoi cittadini non sono venuti a capo di nulla. Il debito greco è stato ora declassato a “spazzatura”.

E in questo modo i mercati hanno ottenuto quel che volevano: i loro rappresentanti ora hanno accesso diretto al potere statale senza doversi preoccupare di elezioni. Sia Lukas Papademos, il nuovo primo ministero greco, sia Mario Monti, primo ministro italiano, sono banchieri. In un modo o nell’altro, entrambi hanno collaborato con la banca statunitense Goldman Sachs, che è specializzata nel piazzare i propri uomini in posizioni di potere [3]. Entrambi sono membri della Commissione Trilaterale.

In questo quadro di “democrazia limitata”, questi tecnocrati devono imporre, senza considerazione per i costi sociali, ogni misura richiesta dai mercati – maggiori privatizzazioni, maggiori tagli e maggiori sacrifici – che certi leader politici non avevano osato imporre perché l’opposizione popolare era così intensa.

L’Unione Europea è l’ultimo posto al mondo in cui il capitalismo selvaggio sia mediato da sistemi di protezioni sociali, noti come stato sociale [welfare state]. I mercati non lo amano e ne vogliono la distruzione. Questa è la missione strategica dei tecnocrati che sono saliti al potere lungo questa autostrada – il colpo di stato finanziario – che è stata presentata, tra l’altro, come compatibile con la democrazia.

E’ improbabile che questi tecnocrati “post politici” riusciranno a risolvere la crisi. Se fosse stato sufficiente un intervento tecnico, sarebbe già finita. Cosa succederà se i cittadini d’Europa si renderanno conto che i loro sacrifici sono stati inutili e che la recessione continua? Quanto si faranno violente le proteste? Come sarà mantenuto l’ordine economico nelle strade e nelle menti dei cittadini? Le democrazie europee diventeranno “democrazie autoritarie”?

 

 

Ignacio Ramonet è redattore di “Le Monde diplomatique en espanol”

Note:

[1] Ad esempio, il 45% del debito sovrano spagnolo è detenuto da banche spagnole e due terzi del restante 55% è detenuto da organismi economici nel resto della UE. Dunque il 77% del debito spagnolo è stato acquistato da europei e solo il 23% e in mano a entità non europee.

[2] La classificazione migliore è AAA, che era detenuta, a fine novembre 2011, solo da pochi paesi: Germania, Australia, Austria, Canada, Danimarca, Finlandia, Francia, Lussemburgo, Olanda, Inghilterra e Svizzera. Gli Stati Uniti sono stati declassificati lo scorso agosto a AA+ mentre la Spagna è attualmente AA-, come la Cina e il Giappone.

[3] La Goldman Sachs è riuscita a piazzare Robert Rubin alla Segreteria del Tesoro USA sotto il presidente Clinton e Henry Paulson nella stessa posizione sotto George W. Bush. Mario Draghi, nuovo presidente della Banca Centrale Europea, è stato vicepresidente della Goldman Sachs per l’Europa nel periodo 2002-2005.

 

 

Da Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

 

 

 

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